TWIN PEAKS - Recensione dei primi due episodi della nuova stagione


Per molti fan della serie originale, soprattutto per coloro che ne avevano abbandonato la visione nel corso della seconda stagione (molto meno amata e apprezzata della prima), queste nuove puntate sono state probabilmente uno choc: spiazzanti e inquietanti come solo come Lynch poteva concepirle, mantengono un legame narrativo proprio con il finale – altrettanto choc – della seconda stagione: il viaggio allucinante di Dale Cooper nella Loggia Nera e il ritorno del personaggio nel mondo reale.


[SPOILER]



Un ritorno spaventoso, poiché il Dale Cooper tornato dalla Loggia non era più lo stesso: posseduto dallo spirito del demone Bob, chiudeva la serie con il più sinistro dei cliffhanger: quale sarebbe stato da adesso in poi il destino del nuovo Cooper e soprattutto degli sventurati cittadini di Twin Peaks, di nuovo alle prese con il demone, più attivo e cattivo che mai? Nessuno, neppure il fan più irriducibile della serie, aspettava davvero risposta a questa domanda.


Eppure Laura Palmer lo aveva sibillinamente annunciato, durante l’ultimo incontro con Cooper nella Stanza Rossa: “Ci rivedremo fra venticinque anni, agente Cooper”. 
Ed ecco, dopo ventisei anni, Twin Peaks torna davvero sugli schermi televisivi, dopo aver marciato trionfalmente sul tappeto rosso di Cannes (rigorosamente precluso, fino a questo momento, alle serie televisive) e aver alimentato per mesi ipotesi e teorie intorno a un set blindatissimo e a un cast che annovera molti volti storici della serie e molti volti nuovi, fra cui anche alcuni di grande richiamo.


E il doppio episodio iniziale della serie – osannato a Cannes e mandato in onda sulla piattaforma Sky nella domenica notte tra il 21 e il 22 maggio – non può aver certo deluso le aspettative di chi già in passato si è immerso almeno una volta nell’universo visionario di David Lynch: è lynchano fino al midollo, infatti, lo spirito che caratterizza questo esordio e, dal momento che tutte le 18 puntate della nuova stagione sono state girate da Lynch in persona, non c’è pericolo che lo spettacolo cambi rotta.


Moltissime le novità presenti in questi due primi episodi  e possiamo prevedere che non sarà facile per gli spettatori districare una matassa di intrecci narrativi, che già lasciano prefigurare  enigmi paranormali  e terrificanti sviluppi horror, il tutto condito dalle ben note suggestioni visionarie tipiche del regista.


La linea principale della serie riguarderà, chiaramente, il ritorno di Dale Cooper (interpretato da un sempre eccezionale Kyle MacLachlan) che irrompe nella prima puntata con una scena memorabile alla Mulholland Drive: fari sparati di una macchina in movimento che bucano le tenebre di una strada tra i boschi, tonfi assordanti di una batteria che si trasformano in un inquietante motivo heavy metal con voci distorte. 


La comparsa improvvisa del personaggio lascia col fiato sospeso gli spettatori, che pure stavano aspettando il suo ingresso sin dalle primissime sequenze: al giovane e compassato detective in giacca e cravatta di un tempo (apparso per pochi minuti nella sequenza iniziale in bianco e nero insieme al Gigante) si è sostituito un nuovo, inselvatichito Dale Cooper. Non è un demone folle e sanguinario, al contrario: mantiene ancora la compostezza e la freddezza di un tempo, calati però in un look da dannato – lunghi capelli, giubbotto di pelle, stivali. 


Sin dal suo primo ingresso in una casa nascosta nei boschi, dove vive un’inquietante clan famigliare, si intuisce che fine abbia fatto Cooper negli ultimi venticinque anni: assecondando l’inclinazione al Male a cui Bob lo aveva piegato, si muove con disinvoltura in un mondo losco, fatto di personaggi stereotipati (le “pupe” del cattivo, i piccoli malviventi senza scrupoli, misteriosi mandanti che lo assoldano per commettere omicidi) e sembra essere diventato un criminale professionista. 

Sviluppo semplice e scontato? Solo apparentemente, perché, già dalla terza scena, una virata narrativa, dall’atmosfera inquietante, catapulta a sorpresa lo spettatore nella città di New York, novità assoluta rispetto alle stagioni precedenti, che mantenevano la storia sempre entro i confini, fisici e metafisici, di Twin Peaks e dei suoi boschi.


Scopriremo che New York è solo una delle altre ambientazioni dove si svilupperanno gli eventi: le altre sono (almeno per il momento) Buckhorn, cittadina del Sud Dakota, e Las Vegas. Il punto di raccordo tra i luoghi è – come scopriremo in seguito – lo stesso Dale Cooper, ma prima di analizzare questo aspetto, dobbiamo soffermarci sul primo plot che si svolge a New York.


Qui, nello strano loft di un grattacielo, un giovane tiene d’occhio una scatola di vetro che affaccia, attraverso un oblò, su uno sfavillante panorama notturno. La scatola è, apparentemente, vuota e il lavoro del giovane – che ha accettato l’incarico per pagarsi gli studi – consiste nell’osservare per ore e ore la scatola in attesa che al suo interno si manifesti qualcosa. Nella stanza, sono presenti misteriose apparecchiature tecnologiche e delle telecamere fisse sulla scatola. Un’amica del giovane si presenta all’ingresso del loft per portargli del caffè: vorrebbe dare un’occhiata, ma c’è una guardia all’ingresso con il compito di accertarsi che nessun altro metta piede nella stanza.


In una visita successiva, tuttavia, sfruttando l’assenza inspiegabile della guardia, il giovane si lascia convincere dall’amica a farla entrare e, proprio mentre i due stanno consumando un amplesso, la scatola di vetro si riempirà di un sinistro fumo nero che, assunte le vaghe sembianze di un demone, si scaglierà contro i due ragazzi, facendone scempio.


È di fatto la prima scena esplicitamente horror della stagione e, se per molti la comparsa della scatola di vetro è risultata un elemento indecifrabile, per i fan più smaliziati della serie è relativamente facile immaginarne la funzione: la scatola si rivelerà infatti un nuovo “portale” tra la Loggia Nera e il mondo reale, intuizione confermata nel secondo episodio, quando vi  fluttuerà dentro, apparso dal nulla, lo stesso Dale Cooper.


A questo punto è impossibile continuare a tacere il primo, vero colpo di scena che caratterizza la terza stagione di Twin Peaks: eravamo partiti chiedendoci cosa ne fosse stato di Dale Cooper negli ultimi venticinque anni e l’apparizione del personaggio sembrava aver dato una risposta: tirato fuori il suo lato oscuro, sotto l’effetto della possessione di Bob (altro attesissimo personaggio della serie, non ancora comparso) è passato dall’essere un incorruttibile tutore della legge all’essere un freddo e spietato criminale.


Solo nel secondo episodio, scopriremo invece una verità diversa: il "vero" Dale Cooper, che nessuno a Twin Peaks ha mai più rivisto negli ultimi venticinque anni, è ancora prigioniero nella Loggia, mentre il Dale Cooper riemerso nel mondo reale è il suo doppio malvagio che lo stesso Cooper aveva incontrato (e anche inseguito) nel corso di quell’ultimo viaggio che aveva chiuso la serie ventisei anni fa.


Ed eccoci giunti a quello che è, presumibilmente, il plot principale della terza stagione, come tutti gli indizi ci invitano finora a credere: il vero Dale Cooper potrà tornare nel mondo fisico, solo se il Dale malvagio, posseduto o liberato da Bob, accetterà di fare ritorno nel mondo metafisico, cosa che chiaramente egli non intende fare. E per evitare di rientrare nel mondo oscuro, Cooper/Bob avrà bisogno di misteriose informazioni che sembra rimetteranno in campo un altro personaggio storico della serie: il maggiore Briggs, padre di Bobbie, l’ex fidanzato di Laura Palmer ai tempi del liceo. 


Capire cosa Cooper/Bob stia tramando e quali saranno le prove a cui sarà sottoposto il vero agente Cooper prima di tornare, costituirà la sfida degli spettatori per le prossime puntate.
Quello che è certo è che, anche questa volta, la storia prenderà l’avvio dal ritrovamento del cadavere di una donna, che sarà però molto diverso da quello di Laura Palmer. Questo ci porta agli eventi che si svolgono a Buckhorn, nel sud Dakota, in un enorme condominio residenziale, dove una donna e il suo cane si fermano ad annusare il cattivo odore che proviene da uno dei tanti appartamenti.


Giunta sul posto la polizia, inizia una di quelle scene grottesche, che contribuiscono a rendere il cinema di Lynch non solo visionario, a tratti folle e spaventoso, ma anche estremamente divertente: il dialogo tra gli agenti di polizia e la donna che li ha chiamati costituisce la pausa comica e delirante  che precede uno dei momenti più raccapriccianti della prima puntata: la vittima – Ruth Davenport, bibliotecaria della piccola città – giace sul proprio letto in uno stato di avanzata decomposizione, ma il particolare più atroce è che si tratta in realtà di due cadaveri, perché la testa mozzata di Ruth è posta sopra un corpo che non appartiene alla donna.

Analizzando la scena del delitto, la polizia scopre che le impronte, rinvenute nell’appartamento, appartengono a uno stimato membro della comunità: il preside del liceo locale, Bill Hastings, uomo molto rispettato dalla comunità, cittadino modello, sposato a una donna, Phyllis, la cui unica reazione, di fronte all’arresto del marito, è il disappunto per dover disdire una cena con degli amici.


S’inseriscono così due temi molto cari all’universo filmico di Lynch: la malvagità che irrompe in una comunità tranquilla e colpisce cittadini insospettabili (come Leland Palmer, a suo tempo) e gli oscuri, malsani segreti di nuclei familiari apparentemente idilliaci.
Una delle scene più memorabili delle due puntate è, non a caso, l’agghiacciante colloquio dei due coniugi Hastings nel carcere dove l’uomo è rinchiuso: la donna affronta con disprezzo il marito rinfacciandogli le sue scappatelle mentre l’uomo rivela alla moglie di aver sempre saputo del tradimento di lei con l’avvocato di famiglia.

Comincia anche a delinearsi un possibile rimando all’entità del demone Bob, che potrebbe aver posseduto Hastings durante l’omicidio: l’uomo infatti è sicuro di non aver ucciso Ruth, ma confida alla moglie di averlo sognato. Ed è sempre qui, nel carcere dove Hastings è rinchiuso, che assistiamo a una delle scene più indecifrabili di questo inizio-serie: in una cella, una misteriosa figura nera, simile a una statua, si dissolve in fumo, senza lasciare allo spettatore altri indizi.


Successivamente, Phyllis, che ha lasciato la prigione, con la compiaciuta  certezza di essersi sbarazzata del marito per sempre, sarà freddata dal killer Dale Cooper, per ragioni ancora ignote. Peraltro, il legame della vicenda di Buckhorn con Cooper non si ferma all’omicidio della moglie di Hastings: pare infatti che quest’ultimo sia in possesso di informazioni preziose, che potrebbero servire a Cooper per evitare di tornare nella Loggia, dove gli spiriti aspettano il suo ritorno.

Infine, viene brevemente anticipato anche un quarto plot nella città di Las Vegas: in un elegante ufficio, un uomo di nome Duncan Todd, seduto a una scrivania, consegna del denaro a un giovane di nome Roger. Quest’ultimo appare visibilmente intimidito, dopo aver preso i soldi, chiede il permesso per porre una domanda: perché mister Todd lascia che un certo uomo ( di cui non viene pronunciato il nome) lo costringa a fare cose terribili? Mister Todd suggerisce a Roger di augurarsi che mai uomo simile entri nella sua vita.
Non sappiamo ancora se l’uomo di cui si sta parlando sia il malvagio Dale Cooper o il misterioso personaggio che ne sta pianificando l’omicidio, come Cooper scoprirà in una delle ultime scene della seconda puntata.


A chiudere l’episodio, tuttavia ci sarà un altro sconvolgente ritorno nella Loggia Nera, dalla quale lo spirito buono di Cooper sembra essere finalmente (temporaneamente?) liberato per entrare in una dimensione intermedia tra mondo naturale e mondo soprannaturale.
Ce n’è abbastanza, insomma, per lasciare frastornato ogni fan della serie.

Resta doverosa, infine, una menzione a tutte le scene ambientate a Twin Peaks, cittadina dove il tempo sembra essersi fermato: qui, incontriamo il dottor Lawrence Jacoby, il potente Benjamin Horne sempre alle prese con il suo hotel e il suo bizzarro fratello, la coppia Lucy ed Andy Brennan, che non sono cambiati di una virgola, a parte avere avuto un figlio, che ha oggi ventiquattro anni, il saggio nativo americano Hawk, diventato vicesceriffo, Margaret Lanterman, alias la Signora Ceppo, che ha importanti messaggi da dare ad Hawk sulla scomparsa dell’agente Cooper, Sarah Palmer, sola nella sua casa e intenta  a guardare in tv, con crescente turbamento, un truculento documentario su dei felini che sbranano una preda. Infine, nell’ultima scena ambientata in un locale dove la comunità si riunisce per bere e ascoltare musica, ritroviamo anche una splendida Shelley, serena in mezzo alle sue amiche, e uno James Hurley dall’aria sempre più malinconica e tormentata.


Aspettavamo con impazienza anche il ritorno dello sceriffo Truman, ma Lucy ci ha già avvertito, parlando con un visitatore alla stazione di polizia, che non c’è più un solo scerifo Truman, bensì due: l’ennesimo mistero che siamo ansiosi di sciogliere, anche se già sappiamo che, purtroppo, nessuno dei due sceriffi sarà interpretato da Micheal Ontkean.
A una trama, che si configura già come degnamente psichedelica, complessa, destabilizzante,  si accompagna poi quella ben nota visionarietà che ci fa amare Lynch e allo stesso tempo ce lo fa odiare, come si ama/odia l’amico geniale che non sempre è possibile comprendere. 


Davvero tanti i particolari che ci hanno lasciato con la sensazione di una vertigine visiva: dalla già citata statua nella cella della prigione di Buckhorn al grammofono dal suono gracchiante nella scena in bianco e nero con il Gigante, dal cavallo bianco, che appare ad un tratto oltre i tendaggi rossi della Loggia Nera, all’albero scheletrico, che parla a Cooper nella Loggia attraverso una specie di deforme palla di carne umana infilzata su uno dei rami.


Già in passato Lynch ha obbligato il pubblico televisivo ad accettare una serie televisiva  anticonvenzionale e ad assistervi senza la solita, rassicurante convinzione di ricevere, episodio dopo episodio, tutte le spiegazioni per ogni domanda, per ogni deviazione dalla trama principale e per ogni visione, che punteggia di apparente nonsense il tessuto della narrazione. E non è questo ciò che, a livello immediato, subliminale, ci suggerisce anche l’inquietante immagine dell’uomo solo in un stanzone che fissa una scatola vuota in attesa che dentro succeda qualcosa? Non è forse questa l’immagine emblematica di un comune spettatore, intento a guardare uno schermo televisivo per ore e ore, ma incapace poi di "vedere" cosa realmente accada al suo interno?


Tuttavia, questa volta dobbiamo leggere di più all’interno del “gioco” che Lynch ha sempre stabilito con i suoi spettatori: stavolta la serie non è un tentativo di introdurre nella storia della tv qualcosa di nuovo e originale, di intelligente e conturbante; è la somma, l’apice, l’omaggio a tutto il proprio cinema e all’arte audiovisiva in generale.


Lo dimostrano le molte citazioni che Lynch fa nel corso di queste prime puntate: citazioni dei propri film – come Eraserhead, evocato dall’inquietante “feto” sanguinolento in cima all’albero parlante, Velluto blu, con il ritrovamento del piccolo, inquietante resto umano nel bagagliaio di Hastings, Mulholland Drive, nelle luci dei fari lungo la strada buia - ma anche rimandi ad altri film e cineasti – si veda ad esempio il lungo corridoio di kubrickiana memoria nel residence di Buckhorn, i poliziotti alla Fargo nella scena del ritrovamento del cadavere di Ruth, il personaggio di Hastings interpretato da Matthew Lillard, ex serial killer adolescente che seminava il terrore nel liceo del film Scream, il bizzarro clan famigliare incontrato da Cooper, che ricorda vagamente quello di Non aprite quella porta -.

Ci troviamo chiaramente di fronte a un progetto molto più ambizioso del mero proseguimento di una serie di ventisei anni fa. 
La domanda è: avremo anche stavolta la capacità di guardare e vedere qualcosa di straordinario compiersi all’interno di quella piccola scatola di vetro che è il nostro televisore?



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Articolo di Doriana Comandè

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