TWIN PEAKS - Recensione episodio 3x03 "The Return part 3"


Continuando sulla linea dei primi due episodi, Twin Peaks The Return assurge ormai a gioco di prestigio di altissimo livello, senza mai perdere un colpo.


Anche stavolta seguiamo il caleidoscopico itinerario tracciato da Lynch  in giro per l’America: un rapido salto in Sud Dakota, per assistere all’incidente automobilistico del doppelganger diabolico di Cooper, che subisce telepaticamente gli effetti del ritorno del vero Dale;  una visita a un coloratissimo casinò di Las Vegas, dove un frastornato Cooper, rimandato nel mondo dei vivi, si muoverà in uno stato di ipnotico stupore; un viaggio a Philadelphia negli uffici dell’FBI dove ritroveremo altri due personaggi della serie, Albert Rosenfield e Gordon Cole (alias David Lynch in persona) messi al corrente dall’affascinante agente Tammy del  misterioso ed efferato caso di duplice omicidio a New York; e dunque di nuovo a Twin Peaks, dove Hawk, Lucy ed Andy Brennan stanno ancora cercando l’indizio scomparso tra i reperti del caso di Dale Cooper, come suggerito ad Hawk dalla Signora del Ceppo.
Ma non è tutto qui, perché stavolta anche la Loggia Nera vedrà un sorprendente ampliamento della propria dimensione che catapulterà Cooper in un nuovo spazio esoterico, persino  più inquietante di quelli visti finora.
Si tratta della scena di apertura del terza episodio, quando Cooper, dopo aver fluttuato in vari luoghi (fra cui la scatola di vetro di New York), approderà nello strano balcone di un condominio che si affaccia su quella che sembra, a prima vista, la superficie livida di un mare. Attraverso una portafinestra, Cooper entrerà in un appartamento rischiarato solo dalle fiamme di un caminetto dove prima una donna senza occhi, che emette versi gracchianti e incomprensibili, poi un’altra donna dal linguaggio chiaro ma distorto, tipico degli spiriti della Loggia,  cercheranno di metterlo in guardia da una orribile entità che sta apparentemente cercando di irrompere nella casa: Cooper riuscirà a evadere da questa nuova, allucinata dimensione dell'oltremondo facendosi risucchiare da un portale sul muro che lo trasporterà finalmente nel mondo reale.
Ma attenzione: l’autentico Dale Cooper non può ancora tornare ed è quindi costretto a prendere il posto di un altro suo doppio, un appesantito signore di mezza età, con un debole per prostitute e improbabili giacche color pastello, conosciuto  da tutti come Dougie Jones.
Nella Stanza Rossa, dove Dougie si ritrova proiettato, affermando di “sentirsi strano”, l’Uomo con un Braccio Solo rivela che Dougie in realtà è stato creato da qualcuno con uno scopo preciso e, poichè tale scopo è stato portato a termine,  Dougie non ha più motivo di esistere e si dissolve in fumo.
Al suo posto,  nella casa dove Dougie aveva trascorso la notte in compagnia di una prostituta, si ritrova Cooper con il suo aspetto di sempre, l’impeccabile taglio di capelli, il completo scuro e la cravatta.
I venticinque anni trascorsi nella Loggia Nera lo hanno però cambiato: sembra aver dimenticato come mettersi le scarpe, come camminare e persino come parlare. Apprende dalla prostituta il suo nuovo nome, Dougie, e, scaricato dalla ragazza davanti a un casinò con cinque dollari in mano, vi entra, ripetendo a tutti, con meccanica calma, che ha bisogno di aiuto.
Nel frattempo, il doppio malvagio di Cooper è stato soccorso dalla polizia stradale e a Philadelphia Gordon Cole e Albert Rosenfield vengono raggiunti da una scioccante notizia : una telefonata annuncia che Dale Cooper è vivo e chiede di poter parlare con Gordon.
Cole e Rosenfield si preparano perciò a volare in Sud Dakota per vedere con i loro occhi l’agente Cooper riapparso dal nulla, dopo un’assenza di venticinque anni, come peraltro era già accaduto a un altro agente dell’FBI, Phillip Jeffries, scomparso per due anni e poi tornato, perché anche lui rimasto prigioniero della Loggia Nera.
La vicenda di Jeffries – interpretato da David Bowie nel film-prequel della serie Fuoco cammina con me (1992) – non è l’unico rimando al film, che, ad un anno dall’interruzione della serie, aveva tentato di spiegarne in modo più approfondito, ma di certo non meno mistico e sibillino,  i misteri.
Nella scena dell’incidente in macchina del Cooper malvagio, vediamo quest’ultimo espellere dalla bocca una disgustosa sostanza gialla, che, inalata dagli agenti intervenuti sul posto, causerà un’intossicazione a uno dei due.
La sostanza vomitata da Cooper fa subito pensare alla Garmonbozia, citata direttamente solo nel film, mistico nutrimento di cui si cibano gli Spiriti della Loggia Nera, presumibilmente una sostanza che materializza tutto il dolore e la sofferenza umana.
Ne era particolarmente ghiotto il demone Bob, che, pur di averla, si divertiva a infliggere tormenti di ogni genere ai malcapitati essere umani che cadevano in suo potere (in particolare giovani donne da brutalizzare e pervertire), ma anche gli altri spiriti, come il Nano e la signora Tremmond, ne facevano uso.
E torna anche un altro riferimento al film del 1992, ossia l’anello verde, che sia Teresa Banks, la prima vittima di Bob a Twin Peaks, sia la stessa Laura Palmer  avevano indossato poco prima di morire  impedendo così a Bob di possedere le loro anime.
Ricordiamo che l’anello era infatti simbolo di un patto stipulato tra due demoni,  Bob e il Nano : quest’ultimo avrebbe posseduto le anime di coloro che, uccisi da Bob, avessero indossato l’anello al momento della loro morte e si sarebbe tenuto la Garmonbozia derivante dalla loro sofferenza. Bob, tuttavia, aveva rotto il patto, tenendo per sé la Garmonbozia scaturita dall’omicidio di Teresa Banks e aveva così infranto il sodalizio con il Nano, che, forse per vendicarsi, aveva deciso di aiutare Cooper a smascherare Bob dopo l’assassinio di Laura.

I diversi richiami a Fuoco cammina con me lasciano presagire la volontà di tornare alle origini della serie più di quanto avessimo osato sperare: il plot del ritorno di Dale Cooper potrebbe essere insomma solo il pretesto per riannodare, nella trama generale, fili ancora più antichi e di cui avevamo quasi dimenticato l’esistenza (l’anello verde, la misteriosa sostanza degli spiriti, l’agente Jeffries etc.)
L’episodio si conclude ancora una volta con una sequenza al Bang Bang Bar, dove un gruppo si esibisce sul palco: nello storico locale della serie, tuttavia, nessuno dei personaggi storici di Twin Peaks  farà  la sua comparsa.
Lynch è dunque intenzionato a lasciarci sulle spine, in attesa di vedere quando e cosa accadrà di sensazionale a Twin Peaks che, al momento, sembra essere, per assurdo, il posto più lontano dai guai rispetto a quelli che ci sono stati presentati finora.
Deve essere ormai chiaro  che il mondo di David Lynch  è un luogo dello spirito, oltre che un luogo popolato dagli Spiriti. E se ventisei anni fa la cittadina di Twin Peaks bastava a contenere tutto il ribollente magma della natura umana, adesso, nel 2017, c’è bisogno di uno spazio visivamente più vasto e variegato che però non perde la funzione di partenza: quella di essere rappresentazione visiva di uno stato della mente.
Ecco quindi Las Vegas, luogo della regressione infantile dell’umanità, dove un Cooper candidamente disorientato si muove con la fanciullesca e comica rigidità di un robottino telecomandato fra enormi giocattoli scintillanti.
C’è poi la sede dell’FBI, a Philadelphia, che dovrebbe vedere il  trionfo della ragione positiva, quella capace di dare un senso al caos e all’assurdo della vita ma dove tuttavia persino la fredda logica poliziesca è costretta ad arrendersi di fronte a quello che Albert Rosenfield definisce “il mistero assurdo delle strane forze dell’esistenza”: sensazione rafforzata dalla presenza nell’ufficio di Cole di due poster, uno dove campeggia il volto dello scrittore Franz Kafka, l’altro che rappresenta una gigantesca esplosione, con una nuvola che ricorda vagamente le fattezze di un alieno.
C’è il selvaggio Sud Dakota, luogo delle scorribande del doppio e di raccapriccianti misteri ancora da scoprire.
E soprattutto c’è l’oltremondo violaceo e conturbante nel quale Cooper precipita dalla Loggia Nera: necessario luogo di passaggio, prima di tornare nel mondo reale.
Cos’è - ci siamo chiesti - questa nuova dimensione dell’oltremondo, dall’estetica allucinata, tanto diversa rispetto a quella - ormai quasi rassicurante e familiare - della Stanza Rossa?
Potrebbe essere una rappresentazione quasi mistica dell’inconscio di Cooper, che si è ormai avventurato molto oltre i confini della conoscenza umana: da ciò il mare aperto che rimanda ad abissi imperscrutabili, la nebbia che avvolge l’orizzonte, la siderale immensità che pulsa tutt’attorno a Cooper quando egli si ritrova sul tetto di una specie di scatola di ferro vertiginosamente sospesa nel vuoto. Ma può anche, al tempo stesso, essere rappresentazione simbolica della sua finitezza umana, che gli impedisce ancora di vedere fino in fondo : da qui, gli occhi orribilmente “murati” della prima donna, i colpi assordanti che sembrano minacciare l’arrivo imminente di un’entità terribile che però non sarà mostrata, la botola sul tetto dell’appartamento che potrebbe simboleggiare l’accesso a un superiore livello di coscienza.
È solo un’ipotesi, naturalmente, e, come quasi tutte le ipotesi che faremo nel corso di queste puntate su ciò che ci sembrerà più inesplicabile, nessuna di esse troverà conferma: perchè il genio di Lynch ci affida, sì, degli enigmi, ma non per farceli risolvere, quanto per farcene subire l’ipnotica magia.
Ancora una volta, dovremo seguire Lynch in questo labirintico viaggio con la stessa fiducia con la quale Cooper segue la piccola icona digitale, visibile solo a lui, che rappresenta la Stanza Rossa e che gli indicherà tutte le slot sulle quali egli giocherà i suoi spiccioli e sbancherà il jackpot.
Del resto, questo nuovo, buffo Dale Cooper, incapace persino di ricordare il funzionamento di una porta girevole, non è forse la rappresentazione più azzeccata del tipico spettatore lynchano: spaesato di fronte a ciò che dovrebbe essere familiare (la tv) e che invece  non lo è, ma al tempo stesso disposto a farsi incantare da tutte fantasmagorie alle quali il regista deciderà di sottoporlo.


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Articolo di Doriana Comandè

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